non sparate sul Romanticismo

Corriere della Sera 10.10.07
La rivolta di Safranski: non sparate sul Romanticismo
di Ranieri Polese

FRANCOFORTE — Si dice Sonderweg, via, percorso particolare. Ma sarebbe meglio tradurre «Eccezione tedesca». È il modo del tutto speciale con cui la Germania moderna riflette sul suo passato, cioè su come è e perché è stata quello che è stata, cultura musica scienza e guerre, nazismo, stermini compresi. Da sempre, per capire perché le cose sono andate così, i tedeschi ricorrono a questo tipo di spiegazione. Tirando in ballo molti avvenimenti del loro passato (le inquietudini del tardo Medioevo, la Guerra dei contadini, il Romanticismo eccetera), dando l'impressione — è un'osservazione fatta da Hannah Arendt durante il suo primo ritorno in Germania dopo la guerra — di voler risalire così indietro che alla fine tutto sembra dipendere «dagli avvenimenti che portarono alla cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre».
Comunque, di eccezione tedesca si continua ancora oggi a parlare, tanto che le pagine culturali dei giornali (in Italia come in Francia, per esempio) sono piene in questi giorni di interviste a Günter Grass, di cui esce la traduzione dell'autobiografia Sbucciando la cipolla (Einaudi) — perché ha nascosto di essersi arruolato nelle SS-Waffen? —, di recensioni del romanzo Le benevole (Einaudi) di Jonathan Littell — racconto in prima persona di un volenteroso carnefice nazista —, di anticipazioni del nuovo volume di Norman Mailer The Castle in the Forest, ovvero l'infanzia di Hitler come luogo di origine della sua mostruosità. Insomma, si continua a interrogare la storia tedesca per capire come il Paese della più alta cultura possa essere diventato il regno del male.
Nella recensione apparsa sullo «Spiegel» del bel saggio di Rüdiger Safranski Romantik. Eine deutsche Affaire (è uscito da pochi giorni da Hanser Verlag ed è già in classifica: in Italia lo pubblicherà Longanesi che già ha tradotto le sue biografie di Nietzsche e di Heidegger) si legge che questo libro è «la serena descrizione di un Sonderweg. È il romanzo dello spirito tedesco». Tanto da lasciarci credere che l'idea dell'autore sia quella di tracciare una traiettoria che dalla fine del Settecento ci porta diritti fino al nazismo. Insomma, da Novalis a Hitler, parafrasando il celebre studio sul cinema espressionista tedesco scritto da Siegfried Krakauer, Da Caligari a Hitler.
«Non è così semplice» ci dice Safranski, atteso a Francoforte per parlare del suo libro. «Io non vedo nessuna stretta causalità fra il Romanticismo del primo '800 — Fichte, Novalis, Eichendorff, Schlegel, Hoffman — e Hitler. Certo, Hitler era un fervente wagneriano, e Wagner era un romantico dionisiaco, ragion per cui si può dire che un legame c'è stato. Ma se uno considera l'ideologia nazista nel suo complesso — razzismo, biologismo, antisemitismo — si vede come in essa abbiano giocato un ruolo decisivo dei concetti pseudo-scientifici della fine del secolo XIX. Basti pensare al darwinismo sociale. Il nazionalsocialismo è stato più una forma brutale di positivismo che non una variante imbarbarita del Romanticismo. Inoltre occorre non dimenticare che anche la resistenza contro Hitler, gli uomini dell'attentato del 20 luglio 1944, aveva radici romantiche. E questo vale soprattutto per Stauffenberg e quelli del George Kreis».
Lei però usa un termine, Affaire, che in genere indica qualcosa di ambiguo, di scandaloso. L'affaire Dreyfus, per esempio; o una relazione d'amore fuori dal matrimonio. «Certo, c'è qualcosa di ambiguo, di pericoloso. Nel bene come nel male il Romanticismo ama i sentimenti e i pensieri estremi. È radicale, evita e disprezza il senso comune, la via di mezzo. Produce un senso di estraniamento, perde il contatto con il mondo terreno. Rincorre sogni e fantasie, e finisce per trovarsi a casa in un altrove sconosciuto ai comuni mortali. Tutto questo comporta un dispendio fortissimo di sentimenti. In fondo, in un tradimento, in un'avventura, c'è molto più amore e molta più passione che nel matrimonio. Ma proprio qui può nascere il pericolo».
In che senso? «Nel senso che in questo modo la capacità di giudizio politico viene compromessa ». E allora si finisce per diventare hitleriani fanatici. «No, le cose non sono così semplici. Il sillogismo: i tedeschi sono romantici; i tedeschi hanno aderito al nazismo; dunque il nazismo è romantico, non è corretto. Certo, la prontezza con cui il popolo tedesco seguì Hitler ha anche a che fare con l'estraniamento romantico, con la perdita di chiarezza politica. Ma se non vogliamo risalire ad Adamo ed Eva come diceva la Arendt, allora non bisogna dimenticare che i tedeschi non rincorrevano solo i loro sogni romantici. Si ripromettevano in realtà di conseguire consistenti vantaggi materiali dalla politica di violenza attuata dal nazionalsocialismo. Volevano trarre profitto dalla sottomissione e dallo sfruttamento degli altri Paesi. E volevano profittare della espropriazione e dell'eliminazione degli ebrei. Insomma, quello che desideravano più di tutto era uno stato assistenziale consegnato nelle mani di un dittatore. E questo non ha niente a che fare con il Romanticismo ».
Ma la fascinazione, la magia esercitata da Hitler forse sì. La figura del mago, dell'incantatore appartiene alla cultura romantica. «Hitler si era presentato nelle vesti di un salvatore, e in parte è stato percepito così. Ha tenuto i tedeschi sotto l'effetto di un incantesimo, li ha stregati. Se lasciarsi incantare da Hitler è romantico, allora sono romantici anche quegli italiani che si erano fatti ammaliare da Mussolini. Ma forse, in tutti e due i casi, il Romanticismo non c'entra niente; piuttosto si tratta della potenza dei mezzi di comunicazione di massa, che per la gente dell'epoca era un'assoluta novità».
Certo, nel 1945 la sconfitta, la fame, le città ridotte a cumuli di macerie, la perdita di tutto costituirono per i tedeschi un brusco risveglio dall'incantesimo. Diventarono più sobri, lei scrive, più scettici, meno portati a credere ai sogni, a giustificare errori, colpe, tragedie con motivi ideali. Alcuni intellettuali, comunque, ci provarono ancora. Primo fra tutti, Thomas Mann: il suo romanzo Doktor Faustus rilegge la catastrofe tedesca come il frutto di un patto con il diavolo. Altri chiamano in causa il militarismo prussiano, altri ancora sull'esempio di Heidegger denunciano la scienza e la tecnologia. «Tutte le volte che si annulla la distinzione tra cultura e politica si provocano disastri. Se l'arte è fantastica, estrema, radicale, quello che invece chiediamo alla politica è la ricerca del consenso, del compromesso ai fini di un vantaggio generale. Quando non riusciamo a tener separate le due sfere, allora scatta il pericolo: cominciamo a cercare nella politica un'avventura che avremmo fatto meglio a cercare nella cultura. E viceversa, chiediamo alla cultura utilità e ragionevolezza che invece spettano alla politica. Insomma, il Romanticismo è grande e meraviglioso quando non cerca di prendere politicamente il potere. Invece il movimento del '68, di cui già si preparano le celebrazioni del quarantesimo anniversario, volle prendere il potere politico romanticamente. Allora si scrisse sui muri "L'immaginazione al potere!". Oggi posso dire che non fu proprio una bella idea».

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