Machiavelli. Nel clima della creatività rinascimentale

La Repubblica 31.8.07
Machiavelli. Nel clima della creatività rinascimentale
di Lucio Villari

L'autore del "Principe" scrisse con i registri della scienza ma anche dell'invenzione letteraria

Si fa risalire a Galilei la paternità della scrittura scientifica non soltanto per i contenuti quanto per la forma, cioè la chiarezza, la precisione sintattica, l´incisività espressiva e la costruzione letteraria - a cominciare dal dialogo - degli argomenti. La prosa scientifica galileiana nasceva nel tempo del lussureggiante barocco (in poesia, letteratura, storiografia...) e ne era il suo contrario: sostantivi essenziali, uso moderato degli aggettivi e delle metafore. Per i francesi la primigenia scrittura scientifica appartiene di diritto a Cartesio ed essi ne fanno tesoro ancora oggi. Il Cartesio del "clare et distincte percipere" e della "certitudo", che non era certezza da opporre al dubbio (che per il filosofo francese era, comunque, "metodico"), ma indicazione di concetti stabili.
La prosa galileiana ha, quanto alla "certitudo", un precursore illustre in Niccolò Machiavelli, se è vero che, come Galilei per la matematica e l´astronomia, Machiavelli ha scrutato la politica e l´agire politico come materiali mobili e variabili casuali, ma soprattutto come problemi da sezionare e sottoporre ad analisi scientifica. Quello di Machiavelli è il clima della creatività rinascimentale, quando emersero i linguaggi della filosofia (dal raffinato neo-platonismo al naturalismo di Pomponazzi e Telesio) che coinvolsero grandi pittori e architetti. Alla ragione filosofica rinascimentale, che fu anche scoperta di libertà e, come egli diceva, del "vivere civile", Machiavelli appartiene di diritto e nelle sue scritture i traslati, le allusioni, i modelli figurativi sono beni strumentali di un procedimento conoscitivo della realtà "effettuale". Termini per nulla scientifici, come virtù, astuzia, fortuna e immagini di comportamenti politici (volpe, leone e così via) escono dalla sua penna come solidi geometrici: oggetti e soggetti reali della politica, identificati e delimitati. Non sono - è una sua battuta pungente - dei "Paternoster".
Machiavelli scrisse con i registri della scienza e dell´invenzione letteraria; come tenterà di fare Galilei, che avrebbe voluto diventare critico letterario. Senza l´invenzione letteraria e la fantasia erotica della Mandragola, di Belfagor arcidiavolo (a proposito, rileggano questa favola gli esaltatori acritici della "famiglia"...), dell´Asino, di intermezzi e canzoni recitate in palcoscenico da attrici e cantanti di cui si innamorava, Machiavelli non sarebbe forse entrato nei territori della politica come arte e non avrebbe lasciato nel Principe, nei Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio, nelle altre opere e nelle lettere, modelli di libertà letteraria e scientifica nella quale credeva fermamente. Nei "Discorsi" chiamerà "infami e detestabili" i capi politici incolti, "inimici delle virtù e delle lettere e d´ogni altra arte che arrechi utilità e onore all´umana generazione". Non a caso Guicciardini in una lettera del l521 definì l´amico Niccolò "extravagante di opinione dalle commune et inventore di cose nuove et insolite".
Si sa della relazione teoretica tra il Principe e l´esperienza breve e folgorante di Cesare Borgia. Ebbene, il Principe fu composto verosimilmente tra il 1513 e il 1517, dunque molti anni dopo la caduta del Valentino avvenuta nel 1503; si sa anche che, in una relazione diplomatica alla Signoria Machiavelli aveva mostrato delusione per la fine ingloriosa e patetica di un prezioso campione di Signore e geniale reggitore di Stato. Chiediamoci però quale fosse lo stato interno intellettuale più vero e credibile di Machiavelli di fronte all´avventura di Cesare: quello dell´ambasciatore deluso oppure quello, precedente, dell´ammiratore incantato? La risposta è anche nelle sue scritture letterarie: la maturazione teorica di Machiavelli, le sue inclinazioni psicologiche, la sua fredda razionalità lo portano al disincanto, ma i miti, le epopee, gli eroici furori lo hanno sempre affascinato ed emozionato. E in lui la fascinazione letteraria e poetica fluisce nella politica (e viceversa).
Sappiamo dell´ammirazione sconfinata per l´Orlando furioso, ma al tempo del Valentino il poema dell´Ariosto non era stato pubblicato. Quindi è del tutto autoctona e originale l´ispirazione che coglie Machiavelli, pochi mesi dopo l´eclissi di Cesare, a immaginare e scrivere su di lui e sugli anni agitati della storia contemporanea d´Italia e di Firenze, un poema, anzi, un poema epico. E´ il Decennale primo, scritto sull´onda di una emozione non più controllata dagli obblighi dell´ufficio diplomatico. Sono 549 versi gettati giù in quindici giorni nell´ottobre l504 e pubblicati due anni dopo. E´ in terza rima e racconta eventi storici appena accaduti o ancora in corso, e la presenza di Cesare Borgia crea una disarmonia costruttiva, un caos che è proprio della storia reale non della storiografia inventata. Questo poemetto della realtà e contemporaneità della storia fu una delle poche opere che Machiavelli diede alle stampe (il Principe, ad esempio, restò inedito tra le sue carte).
Siamo certi però che questa sfida letteraria non abbia rapporto con le sfide intellettuali delle opere teoriche? E´ evidente che l´epopea di Cesare Borgia infiammò la creatività di Machiavelli lasciandola da quel momento in poi in stato di ebollizione teoretica. Il pensiero di Machiavelli è dunque nutrito di una fantasia pragmatica e fecondatrice di idee e immagini, senza le quali, avrebbe poi detto Croce, le scienze positive, le "scienze baconiane" (come fu il "ragionare dello Stato" di Machiavelli) "si arresterebbero, illanguidirebbero, inaridirebbero, facendosi vieppiù estrinseche e meccaniche".

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