Influssi di onde cosmiche nel segno di Leonardo da Vinci

il manifesto 25,9.07
Fritjof Capra
Influssi di onde cosmiche nel segno di Leonardo da Vinci
di Luca Tomassini

Al grande artista e scienziato del Rinascimento Fritjof Capra, noto soprattutto per il best seller «Il Tao della fisica», ha dedicato il suo ultimo libro, «La scienza universale». Un incontro con il fisico, che negli ultimi anni ha dato vita a un centro per divulgare l'ecologia nelle scuole

«Tutto è cominciato con un libro che ho letto quando ancora ero un ragazzo. In quel libro, Fisica e filosofia di Werner Heisenberg, il grande scienziato, uno dei creatori della meccanica quantistica, sottolineava le profonde analogie della nuova fisica con le filosofie orientali». A parlare è Fritjof Capra, fisico ma anche guru indiscusso del movimento New Age grazie al celeberrimo Tao della fisica, pubblicato per la prima volta nel 1975 da una piccola casa editrice underground degli States e oggi tradotto in oltre venti lingue. L'allora trentaseienne professore resuscitava nella Berkeley scossa dalla crisi della sinistra a stelle e strisce quell'interesse per buddismo, taoismo e induismo che molti tra i fondatori della moderna teoria dell'atomo avevano professato apertamente. Basti pensare, oltre a Heisenberg, a Niels Bohr che per non lasciare dubbi sui suoi orientamenti filosofici si fece realizzare uno stemma familiare nel quale spiccava il simbolo del tai-chi, o a Erwin Schroedinger dedito per tutta la vita allo studio dell'induismo, o anche al padre della bomba atomica Robert J. Oppenheimer.
Fritjiof Capra è arrivato la settimana scorsa in Italia per presentare il suo ultimo libro, La scienza universale (Rizzoli, pp. 409, euro 23), dedicato alla figura di Leonardo da Vinci. Invitato a Sansepolcro, in Toscana, dall'azienda di prodotti erboristici Aboca, ha parlato a una platea piccola ma molto eterogenea, dall'imprenditore in gessato scuro allo studente di psicologia deciso a mostrargli la sua tesi su nuova scienza e medicina alternativa, dal fondatore di un noto centro per il benessere psicofisico al consigliere comunale verde.
Con il passare del tempo il suo stile è cambiato, così come si sono evoluti i suoi interessi. Trent'anni fa nel Tao della fisica così descriveva l'inizio, l'illuminazione: «In un pomeriggio di fine estate, seduto in riva all'oceano, osservavo il moto delle onde e sentivo il ritmo del mio respiro, quando all'improvviso ebbi la consapevolezza che tutto intorno a me prendeva parte a una gigantesca onda cosmica». Negli anni, il grande affresco tracciato dal fisico per descrivere la transizione verso una nuova scienza si è arricchito di nuovi elementi: teoria dei sistemi, caos, emergenza, complessità, tutte le idee innovative che tanto hanno mutato il panorama del dibattito scientifico-epistemologico sono state incorporate da Capra nel suo «sistema», che oggi prende la forma di un ecologismo radicale e spiritualeggiante, di cui egli resta figura di primo piano.

Quali sono state le principali linee di sviluppo del suo pensiero dopo «Il Tao della fisica»?
Ho continuato con Il punto di svolta (1982) a esplorare le conseguenze nelle altre scienze e nella società del cambiamento di paradigma avvenuto nella fisica. E poi questa nuova visione del mondo si è ulteriormente sviluppata in termini di descrizione dei sistemi viventi, di complessità, incorporata nella Rete della vita (1996). Per certi versi con Leonardo torno al Tao della fisica, all'indagine sulla natura della scienza, della conoscenza, dell'arte, dell'ecologia, e delle loro relazioni.

Cambiamento di paradigma - ovvero, come ha insegnato Thomas Kuhn, trasformazione di quell'insieme di conoscenze che delimitano il campo, la logica e la prassi della ricerca stessa. Può essere più preciso?
Mi riferisco al passaggio dalla concezione dell'universo come macchina perfetta governata da leggi matematiche, elaborata da Galileo e da Cartesio e perfezionata da Newton. Certo, rilevanti integrazioni furono necessarie nel corso del tempo: mi riferisco per esempio alla scoperta del ruolo della chimica nel mondo vivente o all'elaborazione della teoria dell'evoluzione. Ma la sostanza sopravvisse, gli animali erano ancora dei congegni, seppure molto più complicati di un semplice orologio: il dogma di una riducibilità delle leggi della biologia a quelle della fisica e della chimica è duro a morire. Ho spesso espresso la sostanza del punto di vista della nuova scienza in termini di consapevolezza che tutto è connesso con tutto, in una inscindibile unità.

Eppure lei stesso ha sottolineato che alcuni elementi sono più connessi di altre, e che la preminenza di talune relazioni costituisce l'inevitabile punto di partenza di ogni indagine. Qual è allora la differenza rispetto al tradizionale invito galileiano a «difalcare gli impedimenti», a trascurare ciò che non è rilevante ai fini dell'indagine?
Se tutto è interconnesso non possiamo sperare di determinare quantità precise, a causa degli insuperabili limiti di osservazione degli strumenti. Possiamo però rilevare gli schemi di relazioni. Nella scienza dobbiamo sempre concentrarci su quelle più importanti, non possiamo considerarle tutte. Siamo insomma costretti a fare una scelta. Quali siano i criteri che la orientano è questione di gusto, di obiettivi. È così che la scienza avanza. Nel caso dell'ecologia per esempio sono stati scelti differenti principi, che trovano la loro origine nella convinzione che i sistemi viventi siano immersi in un tutto pieno di relazioni. L'ecologia è una scienza di relazioni, c'è una comunità ecologica fatta di animali, piante, microorganismi, tutti in costante interazione con un ambiente. Noi abbiamo individuato una serie di concetti di base: la rete, i cicli, il flusso, l'equilibri dinamico, lo sviluppo, il fatto che ci sono sempre sistemi dentro altri sistemi (in analogia con la struttura dei frattali, ndr). Ma avremmo potuto selezionarne altri, come la diversità o la flessibilità.

Nel suo ultimo libro individua in Leonardo un anticipatore di questo approccio «olistico». Perché?
Ho deciso di intraprendere la scrittura di questo libro quando mi sono reso conto che, nonostante gli innumerevoli trattati dedicati alla sua opera, i lavori sulla sua scienza sono pochissimi, poco più di una decina. E tutti la leggono in una prospettiva meccanicistica, paragonando Leonardo a Galileo. Ma Leonardo ha sviluppato qualcosa di molto diverso, una scienza delle forme in trasformazione, delle qualità. Ho scoperto una sua bellissima frase, nella quale invocando la necessità di una teoria della pittura sostiene che essa abbraccia in sé tutte le forme della natura. Per Leonardo dipingere apparteneva alla sfera mentale, e forse è proprio questa la ragione per cui spesso non terminava i suoi quadri: importante era risolvere un problema, trovare nuove combinazioni. Il suo era un mondo di forme organiche in trasformazione, che mi sembra avere molti punti in comune con il paradigma della complessità, dell'ecologia. Lo definirei uno scienziato ecologico.

E il Leonardo ingegnere e costruttore di macchine, anche da guerra?
È senza dubbio un paradosso, ma si tratta di un personaggio così complesso da essere necessariamente contraddittorio. Leonardo progettava queste macchine per avere una posizione sicura, per poter fare la sua scienza, ma era certamente affascinato dalla violenza, dalle esplosioni, dai proiettili. Ciò nonostante era un pacifista, definiva la guerra «pazzia bestialissima».

Lei è considerato uno dei principali esponenti della «New Age». Quanto grande è stata l'influenza del terremoto politico e sociale degli anni Sessanta e Settanta nell'evoluzione della sua visione del mondo?
Assolutamente determinante. Negli anni Settanta si dividevano la scena due grandi movimenti che potremmo descrivere come vere e proprie espansioni della coscienza. Una andava nella direzione di una nuova centralità dell'elemento spirituale, l'altra verso la dimensione sociale. Io ho seguito la prima, ma avevo molti amici che militavano nella sinistra. Sono anche stato a Parigi nel '68, un'esperienza che ha avuto per me un'importanza enorme. Durante gli anni Ottanta, ho cominciato a scrivere sullo stato della società e sulle prospettive future e il mio interesse per le scienze della vita ha continuato a crescere, portandomi ad aderire al movimento ecologista. Nel 1986, quando è nata mia figlia, il problema del futuro dei nostri bambini e della loro educazione, si è fatto più personale e nel 1995 ho contribuito a fondare il Center for Ecoliteracy. Oggi portiamo l'ecologia nelle scuole, favorendone lo studio a tutti i livelli. Il nostro obiettivo è trasformare la società per mezzo dell'educazione, verso modelli compatibili con le risorse del nostro pianeta.

Un tema, quello dell'educazione, certamente al centro di ogni ragionevole strategia di trasformazione della società. Ma la spinta alla crescita dei consumi non è forse intimamente legata a un'organizzazione della produzione esclusivamente finalizzata alla massimizzazione del profitto?
Penso sia molto importante per la fondazione di una nuova economia tornare alla critica del capitalismo. Ma non posiamo accontentarci dell'originale impostazione marxiana, nonostante ci siano in essa elementi che conservano il loro valore. Il capitalismo di oggi è molto diverso da quello della rivoluzione industriale, è globale, riposa e si diffonde sulla base di informazioni, conoscenze. Non a caso in molti parlano di knowledge economy. L'organizzazione della produzione è ormai in gran parte strutturata intorno a reti finanziarie e di informazione, e queste reti a loro volta obbediscono a regole che vanno sotto il nome di «libero mercato». Ma libero non è certo da intendersi nel senso di democratico, indica solamente il potere delle imprese di fare come vogliono, guidate da un principio fondamentale: accumulare denaro è sempre più importante di qualunque altra cosa, dell'ambiente, della democrazia. Uso il termine denaro e non profitto perché anche questo concetto è cambiato, si è fatto ancora più astratto in quanto riferito a un futuro incerto e nebuloso. Come nel caso del cosiddetto share-holder value o del mercato dei futures. È da qui che dobbiamo partire, perché le stesse reti finanziarie e di informazione potrebbero essere utilizzate ad altri fini, etici e ecologici. Si farebbe profitto nella stessa maniera, ma tutelando l'ambiente e i lavoratori. E allora dobbiamo cambiare i valori per mantenere la dignità umana e la sostenibilità ecologica. Questa è la grande sfida.

Lei stesso ha sottolineato come gli attuali livelli di consumo siano incompatibili con la sopravvivenza del nostro pianeta. Un'osservazione che è il punto di partenza anche delle proposte imperniate sul tema della decrescita. Qual è la sua opinione a riguardo?
Mantenere la nostra industria senza petrolio è possibile, ci sono strategie e progetti, abbiamo le energie alternative, la bioarchitettura, l'ecodesign. Perché non li usiamo? Perché Bush pensa che dobbiamo fare la guerra per andare a prendere il petrolio? Molto potrebbe essere fatto insomma, ma occorre ricordare che il 20 per cento dell'umanità consuma circa l'80 per cento delle risorse. Questo significa che per garantire a tutti la ricchezza materiale dell'Occidente sarebbero necessari quattro pianeti Terra. In fondo, è ovvio da un punto di vista ecologico che un'espansione infinita su un pianeta finito è una follia: l'unico esempio che mi viene in mente di crescita indefinita è il cancro.

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