In un bel giardino con ser Boccaccio

l’Unità 23.8.07
In un bel giardino con ser Boccaccio
di Roberto Carnero

Non c’è forse classico più «vacanziero» del Decameron di Giovanni Boccaccio (1313-1375). Perché l’«onesta e lieta brigata» delle sette ragazze e dei tre ragazzi che, a turno, racconteranno le cento novelle di cui è composta l’opera, hanno proprio deciso di prendersi una vacanza. Mentre a Firenze - siamo nel 1348 - infuria la piaga della peste, con la corruzione fisica, morale e civile che questo male terribile porta con sé a tutti i livelli, i nostri dieci giovani hanno avuto la bella idea di andarsene fuori porta, in una villa lontana dalla città: «Era il detto luogo sopra una piccola montagnetta, da ogni parte lontano alquanto alle nostre strade, di varii arbuscelli e piante tutte di verdi fronde ripiene piacevoli a riguardare; in sul colmo della quale era un palagio con bello e gran cortile nel mezzo, e con logge e con sale e con camere, tutta ciascuna verso di sé bellissima e di liete dipinture ragguardevole e ornata, con pratelli da torno e con giardini maravigliosi e con pozzi d’acque freschissime e con volte di preziosi vini».
Non meno di un hotel a cinque stelle, questo «locus amoenus» che sarà la cornice del «novellare»! Un raccontare fatto, nelle intenzioni dell’autore, a parziale consolazione delle donne innamorate. «Consolazione» in latino si dice «solacium», la stessa parola da cui deriva «sollazzo», cioè «piacere». Perché, prima ancora che i vari e multiformi casi raccontati nelle novelle delle dieci giornate in cui è suddiviso il Decameron, fulcro dell’opera è proprio questo piacere del racconto, cioè il piacere vicendevole del raccontare e del farsi raccontare una storia. Tanto che alcuni anni fa uno studioso di Boccaccio, Mirko Bevilacqua, intitolò un suo aureo libretto sul Decameron Il giardino del piacere (Semar 1995): a significare proprio la primaria importanza, già in quest’opera scritta negli anni 1349-1351, di quello che in tempi a noi più vicini Roland Barthes avrebbe chiamato «il piacere del testo».
E leggere il Decameron è ancora più piacevole sfogliando la preziosa edizione nella collana «I Diamanti» di Salerno Editrice, in due volumi in cofanetto a cura di Valeria Mouchet e con introduzione di Lucia Battaglia Ricci. Due piccoli, deliziosi volumetti che stanno davvero in tasca. Ma se non vi accontentate di leggere per il piacere della narrazione e volete approfondire sul piano storico e culturale l’opera di Boccaccio, vi segnaliamo, appena pubblicato sempre da Salerno Editrice, un saggio firmato da uno dei più noti medievisti, Franco Cardini. Si intitola Le cento novelle contro la morte (pp. 160, euro 11,00). Scommettiamo che al ritorno dalle ferie la tesi dell’autore non mancherà di far discutere gli esperti. Se infatti il Decameron è stato letto tradizionalmente come opera celebrativa della nuova etica borghese e mercantile (contrariamente alla Commedia di Dante in cui si condannava «la gente nova e i subiti guadagni»), Cardini riafferma il forte radicamento di Boccaccio nella cultura medievale e ne fa il paladino di un recupero di valori cortesi quali l’amore disinteressato, l’amicizia sincera, la lealtà a costo della morte, la solidarietà, il disprezzo delle ricchezze materiali.

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