Il volto umano degli antichi Faraoni

Il Manifesto, 18/09/2002

Elena Del Drago

Il volto umano degli antichi Faraoni
A Palazzo Grassi, oltre trecento reperti archeologici in un percorso espositivo immune da scontate seduzioni

Nonostante un inizio monumentale, con statue di Tutankhamon, e di Sekhmet, decorazioni di portali e sfingi, che potrebbero indurre lo spettatore a immaginare, ancora una volta, l'Egitto come il luogo di una cultura maestosa tuttora avvolta nel mistero, il percorso espositivo che segue sembra piuttosto voler privare il suo simbolo massimo, il faraone, di quell'alone di divinità irraggiungibile che continua ad avvolgere la sua figura, per porre dei nuovi interrogativi. I Faraoni raccontati in questa mostra, che permette a Palazzo Grassi (fino al 25 maggio 2003, catalogo Bompiani, a cura di Christiane Ziegler) di continuare il viaggio nelle culture mediterranee dopo gli Etruschi e i Fenici, sono infatti assai meno sovrumani di quanto generalmente si tenda a sottolineare, soprattutto attraverso le loro tombe, le piramidi, che sono tanto evocative quanto spesso legate a un immobile stereotipo. Un'intera sezione intitolata Un dio fra gli uomini? - per esempio - richiama l'attenzione su quella dualità che caratterizza non soltanto il dio-re, ma la cultura egizia nella sua interezza. Non è solo il faraone, infatti, a essere caratterizzato da una doppia natura - figlio di Râ, il dio sole, mandato sulla terra per intercedere tra gli dei e gli uomini e per mantenere tra di essi l'equilibrio, la giustizia, la pace e la prosperità, e al tempo stesso uomo con le sue debolezze e le sue paure - ma persino la concezione geografica del regno era divisa in due parti, anche quando l'intero territorio fu riunito in Alto e Basso Egitto. Allo stesso modo, il succedersi del tempo non era scandito dall'avvicendarsi delle stagioni, dall'alternarsi di temperature calde e fredde, perché l'anno era costituito, invece, da due fasi che dipendevano dalle piene di un fiume, il Nilo, le cui origini restavano misteriose. Slegata da riferimenti reali e dettagliati, la concezione del tempo egizio sembra piuttosto essere «atemporale», dipendente soprattutto dall'imperturbabile alternarsi del potere faraonico che, dinastia dopo dinastia, ha conservato la propria autorità per un lasso di tempo neppure immaginabile da prospettive moderne. Il percorso espositivo, scandito da un ordine cronologico che va dal Regno Antico fino all'epoca tarda, corre lungo tremila anni cercando di sviscerare con intenti quasi didattici, gli aspetti diversi di questa personalità che siede al tempo stesso nel consesso delle divinità e tra gli uomini. I reperti archeologici - oltre trecento pezzi provenienti da collezioni museali di ogni parte del mondo - sono stati scelti secondo un criterio preciso quanto evidente: bandita ogni possibilità seduttiva trasmessa da qualità puramente estetiche o da una spettacolarità troppo immediata, si è puntato piuttosto sulla chiarezza esplicativa di ogni reperto. Forse per la crisi che da qualche tempo affligge l'archeologia, timorosa di divenire storia dell'arte tout court e dunque di essere soggetta anche a criteri estetici, oppure per l'impossibilità di esporre in un luogo come Palazzo Grassi una selezione più spettacolare e mastodontica, comunque lo spettatore si troverà davanti a tante tessere che compongono un mosaico assai diverso da quello tradizionale. Reperti, che per essere apprezzati devono venire osservati con attenzione e riferendosi alle ricche didascalie, svelano contemporaneamente il volto pubblico e quello privato del faraone. Un'imponente galleria di ritratti racconta, innanzitutto, la continuità delle tradizioni al di là dei diversi profili che si sono succeduti e la complessa rappresentazione del potere attraverso le immagini della regalità in cui il faraone è fanciullo, oppure animale protetto dagli dei. Quindi se ne mostrano i poteri più caratterizzanti: il faraone è chiamato a mantenere la pace universale e a garantire l'equilibrio tra le forze cosmiche. Per poterlo fare necessita di un governo stabile e ben organizzato, con una rigida suddivisione delle funzioni amministrative: ogni dato doveva essere memorizzato, ogni spesa contabilizzata, ogni provvedimento conservato in una struttura indiscutibile che fosse un riferimento superiore per il singolo e la collettività. All'interno del palazzo reale egizio è nato lo Stato, dove un consiglio dei ministri si riuniva e uno stuolo di funzionari trascriveva ogni decisione perché potesse essere conosciuta in tutto il territorio. Una delle sezioni più interessanti della mostra è proprio quella dedicata alla scrittura, realizzata inizialmente con dei pittogrammi, riferiti a dati reali o naturali, che lentamente vengono stilizzati in idee, in geroglifici appunto. Un dato costante nell'arte egizia rimane infatti la doppia natura della rappresentazione: si tratta sempre di figure, fiori e animali reali trasformati con un desiderio di semplificazione assoluta in forme primarie, sebbene il grado di realismo possa variare notevolmente. Se il bronzetto che rappresenta la dea Iside mentre allatta il faraone è piuttosto realistico, e fa appello a sentimenti di tenerezza immediati, uno dei pezzi più eccezionali in mostra - nella prima sala espositiva - racchiude nell'estrema semplificazione della forma l'idea della regalità faraonica. Si tratta di una statuetta di scisto che condensa in 31 cm la straordinaria capacità egizia di eliminare ogni orpello decorativo, ogni accenno superfluo per raggiungere un'astrazione carica di riferimenti reali. L'uomo barbuto rappresentato è ridotto a forme geometriche: una losanga con gli occhi appena accennati e quindi una forma allungata per delineare il corpo: saranno gli esempi cui la scultura moderna più innovativa tornerà costantemente a fare riferimento. Accanto a questa rappresentazione ufficiale viene poi mostrata una parte più intima, quasi domestica del faraone: la sua famiglia, la sua prima moglie, le altre riunite in un harem (parola che resta poco adatta per descrivere il tipo d'ambiente e di atmosfera), i numerosi figli, e uno stuolo di uomini di corte con le funzioni più diverse, che comprendevano persino un addetto al ventaglio. Sono collane e bracciali in oro, strumenti per la toletta non meglio identificati, cucchiai, vasi per libagioni o cosmetici e sandali a raccontarci questa vita - sinora resa marginale dalla maggiore appetibilità dell'aspetto pubblico - in cui le donne rivestivano un aspetto più importante di quanto si sia finora evidenziato. Donne che partecipavano più o meno direttamente alla gestione del potere: prendevano il comando quando lo sposo era impegnato in una guerra per mantenere l'ordine stabilito oppure, come racconta un papiro da non lascirsi sfuggire, tramavano congiure con l'aiuto di guardie conniventi ed esperte in incantesimi.

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