VENEZIA «Sagrestia venduta» denuncia al ministero

VENEZIA «Sagrestia venduta» denuncia al ministero
(a.v.)
La Nuova Venezia 11/02/2008

La sacrestia della chiesa di San Bartolomeo è stata venduta dalla Diocesi a un priva-to «senza le autorizzazioni necessario». E adesso, a trent'anni di distanza, uno storico se n'è accorto e ha chiesto al ministero dei Beni culturali di annullare quella vendita ed esercitare il diritto di prelazione. Un case che potrebbe portare a conseguenze clamorose quello sollevato da Piero Pazzi, storico e appassionato di ricerche sui monumenti veneziani. Proprio nel corso di una sua ricerca sulle iscrizioni storiche delle chiese, Pazzi aveva scoperto che una parte della chiesa — sagrestia e altre pertinenze — non faceva più parte dell'edificio sacro, che risale al XII ecolo, restaurato nel 1723. «Mi sono accorto», racconta Pazzi, «che l'an-tisagrestia dopo essere stata frazionata dalla proprietà ecclesiastica era stata venduta in data 15 marzo 1977 al titolare del vicino ristorante Gra-spo de Ua, con atto notarile stipulato dal notaio Polizzi». «Quella sagrestia è destinata da anni a sala da pranzo», continua Pazzi, «la porta di accesso è stata murata, un acquaio rinascimentale è sparito». Ecco allora la denuncia, inviata al direttore regionale per i Beni culturali e il Paesaggio Ugo Soragni. «A mio parere», scrive Piero Pazzi, «questa compravendita sembra essere non del tutto regolare in quanto la chiesa di San Bartolomeo apostolo è monumento vincolato dalla
legge del 1939, ora Codice dei Beni culturali». Dunque, sostiene lo storico, era necessaria l'autorizzazione della Soprintendenza, che «difficilmente poteva essere concessa». Per dimostrare che sa di cosa parla, Pazzi ha allegato alla denuncia la fotocopia del rogito, delle piantine e degli estratti catastali. Con la firma dell'allora proprietario del ristorante, Guido Mora, e del vicario don Giuseppe To-niato. E tanto di autorizzazione della Curia, «Si autorizza la vendita», scriveva l'ordinario diocesano, «della porzione di fabbricato a piano terra e piano primo per la somma di 25 milioni di lire, con rinuncia all'ipoteca legale».
Tutto in regola, dunque? Proprio no, scuote la testa Piero pazzi. Che è deciso ad andare fino in fondo. «Mi pare curioso», dice, «che pezzi di chiesa possano essere venduti senza l'autorizzazione della Soprintendenza». Una vicenda che secondo lo storico «richiede giustizia», anche se sono passati trent'anni. «In queste vicende», precisa Pazzi, «non esiste la prescrizione. Se la vendita non può essere annullata, la Soprintendenza dovrà esercitare il diritto di prelazione previsto dalla legge, per reintrare in possesso del bene».

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