Palazzo Venezia. Del Piombo, 80 capolavori

Corriere della Sera 8.2.08
Palazzo Venezia. Del Piombo, 80 capolavori

Si è inaugurata ieri a Palazzo Venezia la mostra su Sebastiano del Piombo, organizzata in collaborazione con la Gemaldegalerie di Berlino, dalla quale provengono molte delle opere esposte. Il «Ritratto del Cardinale Ferry Carondelet», del 1511 (foto sopra),
arriva invece dal museo Tyssen di Madrid. La rassegna, che presenta ottanta capolavori del pittore veneto nell'allestimento curato da Luca Ronconi e Margherita Palli, resterà aperta fino al 18 maggio.

Il gran colpo di teatro, entrando nel primo salone di Palazzo Venezia, è l'incompiuto «Giudizio di Salomone» sullo sfondo: il suo mirabile equilibrio monumentale è l'eloquente preavviso delle emozioni che attendono i visitatori della prima rassegna monografica mai dedicata a Sebastiano del Piombo.
Ottanta opere esposte, grandi tavole e soprattutto quei cristallini ritratti a grandezza naturale che fecero la sua fortuna in vita. E poi piccoli schizzi preparatori, i preziosi dipinti su lavagna, testimonianza della cura con cui mise a punto una sua personalissima, inedita tecnica: la pittura su pietra.
La mostra è una scommessa culturale nata dalla stretta collaborazione europea tra due grandi istituzioni: il polo Museale Romano, diretto da Claudio Strinati, Soprintendente speciale e curatore della mostra, e la Gemaldegalerie di Berlino, dove la mostra si sposterà dopo la chiusura della tappa romana prevista per il 18 maggio. La catena di prestiti internazionali include il Metropolitan di New York, il Fine Arts di Huston, il Prado e il Thyssen-Bornemisza di Madrid.
E visto che si tratta della prima mostra monografica dedicata al pittore nato a Venezia nel 1485 e morto a Roma nel 1547, gli organizzatori di MondoMostre hanno allestito una vera e propria «prima» firmata da Luca Ronconi e Margherita Palli, per l'allestimento, e da A.J. Weissbard, per l'accurata scelta di luci speciali Led. Il risultato è una immensa scatola magica ricoperta di velluto verde marcio in cui si aprono riquadri vasti quanto le opere esposte che così si stagliano sul tessuto scuro e compatto: un modo per regalare l'adeguata prospettiva a ciascuna delle opere, e insieme per proteggerle dagli «sconfinamenti » del pubblico. Ma anche per regalare a ciascun pezzo un autonomo spazio mentale di attenzione e di riguardo da parte del pubblico. Perché Ronconi ha deciso di non lasciare il visitatore-spettatore solo nella sua ricerca ma di aiutarlo a «scoprire» Sebastiano del Piombo aprendo e chiudendo continuamente un varco dopo l'altro per ciascun pezzo in mostra.
Le luci Led di Weissbarg (collaboratore di Peter Greenway) assicurano un'illuminazione piena, fin nel dettaglio, alle tele lasciando i saloni quasi nella penombra colorata. Intorno alla scatola magica, tre variazioni cromatiche sulle pareti delle sale, proprio per insistere sul registro teatrale-cinematografico: prima un arancio-rossastro, poi il verde oro, infine un blu-lavanda.
Un contesto classico-contemporaneo per fare i conti, anche critici, con un artista completo (era anche un ottimo musicista) contemporaneo di Leonardo, Michelangelo, Giorgione e Tiziano.
La sua stretta alleanza personale con Michelangelo, in funzione anti-Raffaello, fa parte dei miti più citati della storia dell'arte. Un sodalizio che trascina con sé un altro, citatissimo sospetto: cioè che Buonarroti lo aiutasse nei disegni preparatori. E qui si andrebbe ben oltre la semplice influenza. Ma come scrive Claudio Strinati «la verità è che Sebastiano del Piombo è artista del tutto autonomo e personale e che dovette essere proprio la sconcertante situazione di una Roma apparentemente favorevolissima alle arti ma sostanzialmente chiusa e asfittica sul piano della grande produzione culturale a provocare il suo genio verso l'elaborazione di una forma pittorica in dialettico contrasto sia con Raffaello sia con Michelangelo ma lontanissima da entrambi».
Bernd Lindemann, direttore della Gemaldgalerie di Berlino, spera in una nuova fortuna critica di Sebastiano del Piombo: «Avvertiamo come nostro dovere avvicinare per esigenza scientifica settori artistici da tempo trascurati. Il nostro lavoro di mediazione non può esaurirsi con l'offrire continuamente al pubblico il già acquisito con formulazioni critiche modificate solo in termini irrilevanti. È più remunerativo investigare i capitoli della storia dell'arte caduti nell'oblio».
Per Sebastiano del Piombo forse non si può parlare di oblio. Ma attraversare la mostra allestita da Luca Ronconi e Margherita Palli significa rendersi conto della originalissima grandezza di un protagonista del Rinascimento. E chiedersi il perché, per dirla ancora con Lindemann, «di quella smarrita notorietà».

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